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Come cambia il lavoro nel 2023

La società e l’economia stanno forse tornando a una normalità post-pandemia, ma il mondo del lavoro è davvero cambiato per sempre. Dallo smart working alla sostenibilità ambientale, dalla carenza di competenze alla rivincita dei valori intangibili su quelli materiali, il Covid ha accentuato nelle persone e nelle aziende la ricerca del work-life balance, la necessità di leader gentili, la curiosità per il nomadismo digitale. All’effetto dei lockdown si unisce quello prodotto da una più diffusa digitalizzazione e dal mutamento delle aspettative delle persone nei confronti del lavoro. Secondo il sondaggio realizzato nell’ambito del Randstad Employer Brand Research 2022, il work-life balance è importante per il 65% degli italiani – 6590 intervistati tra la popolazione attiva – ed è in vetta alla classifica degli elementi più ricercati in un’azienda insieme a un’atmosfera piacevole. La percentuale del nostro Paese è superiore alla media europea (61%).

Per questo nel 2023 è più che mai importante per le aziende curare il benessere delle loro persone e sensibilizzarle sulla corretta gestione del loro tempo e delle attività, evitando di incorrere nel burnout (il senso di spossatezza e stress che sfocia nell’esaurimento) o nel quiet quitting (la perdita totale di motivazione che porta a fare il meno possibile al lavoro). In un sondaggio Doxa del 2021 un lavoratore italiano su 2 ha detto di provare una forma di malessere psicologico sul lavoro e il 49% degli under 34 ha riferito di essersi dimesso almeno una volta per preservare la propria salute mentale. Nel 2022 una ricerca di Bain & Company ha confermato che la generazione più colpita da burn-out è quella degli under 35 e i giovani lavoratori italiani risultano essere i più stressati in Europa.

La sostenibilità del lavoro è anche una questione di business. Per Prasanth Nair, fondatore e CEO di Double Gemini, si tratta di far fronte alla grande sfida della perdita di produttività delle nostre economie. “La nostra Era of lost productivity”, afferma Nair, “unita alla scarsità di talenti, ha messo i datori di lavoro di fronte alla necessità di trasformare il modo in cui alimentano la produttività. Le aziende che non riescono ad affrontare le sfide HR di oggi mettono a rischio la cultura, i talenti e la vita stessa della loro organizzazione. Una di queste sfide è sicuramente rappresentata dai dipendenti che si sentono stanchi e demotivati (il burnout) e privi del necessario work-life balance”.

In questo contesto lo smart working rappresenta un’opportunità da cogliere. Tenderà sempre più ad evolvere verso un hybrid work, un’alternanza e una commistione di presenza fisica e collaborazione online. Ciò richiede, ovviamente, le tecnologie per sostenere il lavoro ibrido, come cloud, soluzioni di UCC (Unified communications and collaboration), connettività internet veloce e cyber-sicurezza per le reti e i dati. Ma è richiesto anche un cambio di passo nella cultura delle imprese e dei lavoratori per comprendere e gestire il modo di lavorare flessibile. Tra le tecnologie a supporto del lavoro remoto si faranno strada quelle immersive: dallo studio di Adecco “Global workforce of the future” è emerso che quasi la metà (46%) dei lavoratori della Generazione Z ritiene che il metaverso diventerà parte integrante del loro lavoro in futuro. All’hybrid work si lega anche la riprogettazione degli spazi, sia dell’ufficio (con il design del modern workplace o le app per la prenotazione delle scrivanie) che di altri edifici, come le aree di co-working. Questi edifici possono essere ovunque, nelle metropoli o in alta montagna, come vedremo parlando di un altro fenomeno emergente, il nomadismo digitale.

Tra nomadismo digitale e work-life balance

Nomadismo digitale vuol dire lavorare ed esplorare il mondo. I nomadi digitali sfruttano la diffusione dei dispositivi portatili e dell’accesso a internet per lavorare da qualunque località. In uno studio del 2020 firmato da Fabiola Mancinelli, assistente del dipartimento di Antropologia sociale dell’Università di Barcellona, i nomad workers intervistati hanno spiegato che il nomadismo digitale ha permesso loro di esprimere l’aspirazione alla libertà e a uno stile di vita in cui minimalismo, incertezza e rischio prendono il posto di accumulo materiale, stabilità e comfort.

Un elemento che attrae fortemente i nomadi digitali è anche quello della sostenibilità delle loro scelte. Ciò che interessa ai nomad workers è l’esperienza, unita al senso di appartenenza a una comunità. Ridurre l’impronta di carbonio delle proprie attività (per esempio, usando meno plastica o muovendosi a piedi e in bici), acquistare prodotti locali, dare sostegno all’economia del territorio e svolgere attività di volontariato sono tutti valori connessi col nomadismo digitale.

Per quanto molti di questi fenomeni appartengano allo studio antropologico e sociale, le ricadute sulle aziende esistono, perché la capacità di attrarre e trattenere i talenti si gioca anche sulla comprensione delle nuove aspettative dei lavoratori. Basta fare qualche ricerca sul sito di trend tracking Exploding Topics: il termine “digital nomads” ha visto una crescita delle ricerche e delle conversazioni su internet del 269% dal 2019 al 2023 e del 62% nell’ultimo anno, con un boom a maggio del 2022. Ancora più esplosivo il tema “working nomads”: +877% negli ultimi cinque anni, +156% nell’ultimo anno.

Altrettanto cruciale per le imprese e per le economie è occuparsi del work-life balance delle loro risorse, ovvero dell’equilibrio tra la vita lavorativa e la vita privata. Il work-life balance può essere inteso anche come una Employee Experience olistica o una integrazione armoniosa tra vita professionale e personale, come la descrive l’autore e “futurista” Jacob Morgan.

La work-life integration rispecchia un’evoluzione del modo di organizzare il lavoro. Siccome è quasi impossibile evitare che work e life si mescolino, l’obiettivo diventa allineare le esperienze del lavoro a quelle della vita che desideriamo.

Un’esperienza di lavoro nomade all’insegna della community

La nostra Digital Project & Campaign Manager Roya Rastegar Alam ci ha raccontato la sua esperienza di nomade digitale. Da sempre remote worker, Roya ci ha spiegato come il nomade digitale non sia un semplice lavoratore a distanza né necessariamente un freelance. È una persona che ha la possibilità e la volontà di lavorare da una sede diversa da quelle usuali unendo all’attività professionale anche l’esperienza di una community e di un territorio. Roya la lavorato per alcune settimane in montagna, a Ostana, di fronte al Monviso, nella comunità di co-living chiamata Remoto community.

“È la prima esperienza che ho fatto e, anche se lavoro spesso da remoto, aver partecipato a questa comunità di nomadi digitali mi ha dato nuove prospettive”, racconta Roya. “Essere nomade digitale ti fa capire che si può lavorare ovunque e conoscere nuove persone: il remote work non è necessariamente solitudine, ma si può creare una comunità con cui condividere il tempo libero, fare esperienze, visitare posti e anche dare un contributo alla cittadina in cui si lavora, restituendo valore al territorio, svolgendo attività sociali o semplicemente partecipando all’economia locale. Il valore del legame col territorio per me è stato un elemento fondamentale del nomadismo digitale ed è quello che mi ha attratto quando ho deciso di unirmi per due settimane alla Remoto community di Irene Mela e Irene Ameglio”.

Perché questa scelta di nomadismo? “Per me il lavoro non è solo una necessità, come per tutti, di mantenermi con uno stipendio, e né solamente realizzazione professionale, che pure è un aspetto importante. Per me il lavoro è soprattutto senso di realizzazione, crescita personale e partecipazione sociale. L’ideale è un lavoro che contenga tutti questi elementi e nel nomadismo digitale ho trovato l’intero mix”.

Che cosa ami e che cosa vorresti cambiare del mondo del lavoro di oggi? “Mi piace il lavoro di squadra, il senso del gruppo, il legame con colleghi e collaboratori, mi piace stare insieme e portare avanti un percorso, dal progetto al risultato. Quanto a ciò che vorrei cambiare, secondo me c’è ancora da abbattere lo stereotipo sugli immigrati che porta, in fase di selezione delle risorse umane, a un certo scetticismo nei confronti delle persone con un nome non italiano o non madrelingua. È una mentalità diffusa, soprattutto nel mondo della comunicazione. Un altro elemento che andrebbe valorizzato nell’organizzazione del lavoro è la flessibilità degli orari: il lavoro da remoto può essere produttivo come quello in sede, se non di più, ma non tutte le aziende sono aperte a questa opzione. Cultura e inclusione sono le mie parole chiave per il lavoro. Sono contenta di aver trovato in Dune questi aspetti: la fiducia in una persona con un nome straniero e la possibilità di gestire il lavoro in modo flessibile”.

 

Un’esperienza di smart working che ridà valore al tempo

Conciliare lavoro, famiglia e tempo personale: è questo lo smart working per Stefania Cella, Senior Technical Consultant di Trilog. Da 12 anni in azienda, ha vissuto i primi anni da pendolare tra Varese e Milano, e questo voleva dire passare ore sui treni. “Sono entrata in Trilog quando avevo 27 anni e nel frattempo sono cresciuta, mi sono sposata, ho avuto tre figli. L’azienda mi ha permesso di fare tutto questo accettando la mia richiesta di lavorare da remoto, ben prima del Covid”, racconta Stefania. “Finché avevo un figlio solo ho potuto cavarmela con gli spostamenti, ma dal secondo ho avuto l’esigenza di gestire diversamente l’equilibrio tra lavoro e famiglia. Per me lo smart working è libertà di non dover scegliere: volevo continuare a crescere nell’azienda ma anche crescere i miei figli”, dice Stefania. “Mi è stata data l’opportunità e per me è la migliore che abbia avuto nella vita, non è paragonabile a un nuovo lavoro o a un aumento di stipendio”.

Nell’esperienza di Stefania il lavoro smart migliora sia la vita personale che quella lavorativa: non avendo più la necessità di spostarsi, Stefania è tornata a vivere nella sua Genova e si è ritrovata a disposizione più tempo, energia e concentrazione. Le ore in più ha potuto gestirle per il lavoro, la famiglia o sé stessa, anche solo per riposarsi e svolgere altre attività. E la maggiore soddisfazione personale si traduce anche in una più alta motivazione sul lavoro. “Lo smart working migliora la qualità della vita personale, agevola il mio essere mamma e mi ha permesso di restare me stessa. Con lo smart working si può essere in azienda full time, con la stessa responsabilità e disponibilità, anche se si hanno dei figli. Non sono stata costretta al part time come accade ad altre donne”.

Come dovrebbe dunque essere, idealmente, il lavoro? “Accessibile a tutti, non costringerti a rinunciare a te stessa, farti progredire. Oggi è un lusso avere tre figli, mentre il lavoro dovrebbe dare opportunità”, dice Stefania. “Il work-life balance è fondamentale, se non ti senti rispettato in azienda cerchi altro, le persone soddisfatte restano. L’azienda deve favorire la crescita professionale e personale e il senso di appartenenza, far sapere al dipendente che si occupa del suo benessere”.

Per le donne il percorso è ancora più complesso: “Il lavoro IT agevola perché si può svolgere da remoto, ma non per tutte le mansioni è possibile adottare lo smart working e molte mamme si trovano costrette a scegliere tra lavoro e maternità. Il problema esiste e dovrebbero essere i governi ad affrontarlo”, risponde Stefania. “Eppure lo smart working è un beneficio per le imprese. Accresce le competenze, perché il lavoratore accede a un bagaglio di risorse dislocato geograficamente. In più, essere mamma, nella mia esperienza, dà più energia, maggiore capacità di problem solving. Ti dà una narrazione diversa presso i clienti, ti permette ogni volta di accedere a un nuovo inizio, è stimolante e arricchente”.

Lo smart working, sottolinea Stefania, è anche una responsabilità del lavoratore, che deve rendersi responsabile del suo tempo e dei suoi obiettivi. È importante anche il ruolo dei manager: “Una buona leadership, sensibile, racchiude i concetti di inclusione, sostenibilità e cultura”.

 

Dune a Cosenza coglie le opportunità del lavoro che cambia

Il benessere del lavoratore coincide col benessere dell’azienda e per questo la società dei servizi per il recruiting Adecco ha incluso, nei trend per il mercato del lavoro nel 2023, la corretta gestione dei talenti. Le pratiche sostenibili da parte delle imprese devono abbracciare l’intero well-being della persona, considerata nella sua totalità di individuo e non solo nella mansione di dipendente.

Questi valori sono da sempre parte della filosofia del Gruppo Dune. Negli ultimi tre anni i profondi cambiamenti avvenuti a livello economico e sociale ci hanno portato ad approfondire ulteriormente la nostra mission di azienda sostenibile e a ridisegnare la nostra presenza sul territorio per facilitare il benessere dei dipendenti, preservando la qualità della loro vita e il legame con le realtà locali. Convinti dei vantaggi e delle opportunità che si creano con il lavoro “anywhere”, a ottobre del 2022 abbiamo aperto una nostra sede a Cosenza e, nel breve termine, prevediamo l’apertura di altre nuove sedi che si ispireranno al modello di smart work hub già proposto negli uffici milanesi, unendo i principi di flessibilità e responsabilizzazione dei dipendenti che ci caratterizzano.
La scelta del capoluogo calabrese è stata determinata dai rapporti che già abbiamo con l’Università locale di Arcavacata e dal fatto che molti nostri dipendenti vengono da questa città e da questo ateneo, un vero bacino di talenti. In questa prima fase la sede di Cosenza è focalizzata sulle attività in ambito SAP svolte dalla società controllata Trilog, ma stiamo valutando l’estensione ad altre aree del Gruppo.
Siamo convinti del potere positivo dello smart working che si traduce in inclusione e aumento della condivisione della conoscenza. Il nostro Senior Expert AI, Pietro Marinelli, ne è una dimostrazione: è team leader del progetto su “La sicurezza alimentare e l’intelligenza artificiale” che riunisce esperti, partner (come la Nasa) e sostenitori (tra cui Usaid e Bill & Melinda Gates Foundation) di tutto il mondo per lavorare sul miglioramento delle pratiche agricole nell’Africa orientale e meridionale. Il progetto è attivo già da due anni ed è condotto da un team multidisciplinare composto da data scientist, sviluppatori, economisti, scienziati e esperti di dominio dislocati in Europa, America e Africa, che collaborano da remoto tramite un’applicazione sul cloud: nessuna riunione in presenza o viaggio si sono resi finora necessari. In questa iniziativa l’analisi dei dati tramite tecniche di intelligenza artificiale supporta il processo decisionale degli attori pubblici privati e società civile. Un modello replicabile ovunque e che sfrutta a pieno non solo gli strumenti e la cultura dello smart working ma le innovazioni nell’intelligenza artificiale – un altro dei temi chiave per il 2023 – su cui torneremo nella prossima newsletter parlando più nel dettaglio dell’intervento di Pietro Marinelli.

Spunti di riflessione…

 

  • Dimensioni dello Smart Working: opportunità e sfide del lavoro che cambia. Il libro di Roberto Reale.
  • Digital Nomad“: un visionario manifesto sui nuovi stili di vita che l’avvento di Internet rende possibili. Il libro di Tsugio Makimoto e David Manners. 
  • Digital workplace: design e architettura cambiano insieme alla tecnologia. Alcuni esempi su ArchDaily.

 

Podcast interessanti…

 

  • Leader gentile, che cosa significa? Il Tedx con Cristina Ghiringhello: Laurea in Filosofia e Lettere (Scienze della comunicazione d’impresa), MBA all’IMD di Losanna, è CEO di Confindustria Canavese (Torino) e CEO del Ciac (scuola professionale e formazione continua per adulti). Nel 2022 è stata nominata “prima imprenditrice italiana della gentilezza”.
  • Percorsi di sostenibilità, i podcast di Rina.

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